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Wainer Vaccari. Segni

Curata da Luca Beatrice
Dal 07/09/2003 al 07/09/2003
Galleria Boxart, Verona
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Segni  

(di Luca Beatrice)

Si inizia con dei segni sul foglio, il movimento della calligrafia, perché scrivere, naturalmente, è viaggiare. Iain Chambers, Paesaggi migratori, 1994-2003 .

Sono due anni circa che Wainer Vaccari ha compiuto una sorta di rivoluzione copernicana attorno al proprio modo di intendere l'arte e la pittura, evadendo dal consolidato schema di una figurazione comunque personalissima e intrigante per approdare nel regno dell'incerto, in un nuovo dipingere franto e drammatico che si dipana per segni, densi grumi di colore, pittura sintetica ma viscerale in cui la riduzione è diventato il campo sperimentale per eccellenza senza escludere il sentimento.

Dopo la mostra da Emilio Mazzoli (Modena 2001, presentazione di Achille Bonito Oliva) che ne segnava così il "secondo esordio", la personale alla Galleria Pack di Milano l'anno successivo (ne scrissero Vittorio Sgarbi e il sottoscritto), più alcune puntate nell'Europa del Nord (Germania e Olanda sono da sempre suoi territori d'affezione), Vaccari presenta gli ultimi risultati di questa ricerca che imprimono un ulteriore passo verso una pittura sempre più asciutta e consapevole, che trova nel segno il suo dominio pressoché assoluto. 

Incontrando Vaccari dunque in tempi recenti ero rimasto sedotto in egual misura dalla brillantezza iconografica e dalla forza espressivo-gestuale, al punto da chiamare la sua come una "pittura di lotta". Oggi invece, un approccio più meditato e sedimentato mi spinge a compiere ulteriori riflessioni:La prima.

Questi quadri dimostrano, una volta di più, che la pittura ha bisogno di tempi di maturazione piuttosto lunghi, tanto da sottrarsi a qualsiasi gabbia di carattere generazionale. Parlare di pittura giovane, ove per giovane si intenda una condizione anagrafica, non ha alcun senso: la pittura si misura quotidianamente con le contraddizioni del suo fare quasi ricominciasse da capo ogni volta, privandosi delle proprie certezze e dell'ombrello protettivo.
Alla pittura sfugge la progressione lineare delle avanguardie, perché un gesto può non essere direttamente consequenziale all'altro, ma è necessario "surfare" tra le onde delle illusioni visive, dei sogni, delle apparizioni. Vaccari appartiene a quella genìa di artisti per cui l'età non può essere un metro di giudizio, come accade sempre più di frequente ai grandi pittori internazionali. 
Personaggi come Alex Katz o Malcolm Morley (sono forse gli esempi più clamorosi), per decenni considerati artisti di culto nonostante il successo e l'appartenenza a collezioni di prestigio, sono stati appannaggio di un pubblico sofisticato ma di nicchia e solo ora recuperati anche dalla critica più influente. Vaccari ne condivide il destino al punto che questa nuova fase, raggiunta negli anni della piena maturità, sta dando il là ad una intrigante rilettura critica basata su strumenti di analisi più contemporanei. 

La seconda. Vaccari ha messo a punto ciò che discute buona parte della pittura attuale. Ovvero: è finito il dominio della figurazione come "alternativa" all'arte concettuale; si è stemperata la teoria per cui la pittura debba mimetizzarsi con la fotografia; sembra superata l'idea di un dipingere "generazionale" che strizza l'occhio ai miti giovanili e si fonda sul recupero delle pratiche basse. 
Oggi la pittura è una palestra multilinguistica, un territorio dove si incontrano universi meticci, risultato delle migrazioni contemporanee che ci rendono prossimo il resto del mondo e che hanno definitivamente spezzato il tempo della modernità. Saltate le definizioni di nord e sud, di ovest e est, l'immagine risente delle continue mutazioni che investono i piani dello stile e del linguaggio: oggi la pittura non potrà più essere solo figura, gesto o segno, spazio o tempo, ma l'insieme di tutte queste e altre cose, dove la calligrafia è un luogo per incontrarne altre in un coacervo indifferenziato e in perpetuo modificarsi.
Ragion per cui si assiste a un sempre più frequente recupero dell'astrazione e di tutti quei territori scartati perché ritenuti inadeguati o destinati a soccombere di fronte al predominio dell'immagine. 
Tracce di informale, di surrealismo, di action painting riscattano la pittura dalla magrezza dei primi anni Novanta per restituirla nel pieno caos del terzo millennio, un'esplosione di "global à go-go" in cui torna di moda il talento, il fatto a mano, il controllo diretto sul supporto, il rapporto uno a uno con l'opera che non prevede più la distanza e l'allontanamento dal quadro. 
Un'immagine non può essere uguale all'altra e infatti non lo sarà mai.

La terza. La misura del quadro è il corpo perché l'artista parte dal proprio essere fisico, si riappropria della sua dimensione e dei suoi limiti nell'avvicinarsi all'opera. Come accade nella nuova performance, che ha eliminato la necessità di autoidentificazione con il soggetto, l'iperestetismo e il narcisismo di chi individua nel proprio ombelico il centro del mondo, anche la pittura si mostra oggi come "fatto sociale", occasione per relazionarsi con gli altri oltre il semplice se stesso. 
Vaccari ha sempre mantenuto la predisposizione a identificarsi nell'altro, e infatti le sue figure mantengono l'antica anonimia del codice ipermanierista delle origini. Ma alla descrittività si è sostituito il segno, l'insieme di segni che ribaltano la quiete per mostrarsi nella drammatica dialettica dello scontro che sempre più assume connotati metaforici. 

Non ci si può consolare, l'oggi è quanto mai incerto, l'immagine ha perso il predominio e forse neppure il segno basta più, tranne che per dirci della sua voglia di non smettere di combattere.